-di Mario Dusi.
Secondo l’orientamento consolidato della Suprema Corte, il giudice chiamato a determinare (ai sensi dell’art. 2099 comma 2 del Codice Civile) il salario di un lavoratore dipendente, al fine di adeguarlo alle previsioni dell’art. 36 Cost., può fare riferimento ai trattamenti retributivi stabiliti dai contratti collettivi nazionali di categoria, ma anche “superarli” (ed ignorarli!).
Tali parametri (secondo le interpretazioni sino ad ora in vigore) individuano degli standard minimi di corrispettivo validi a livello nazionale, e assumono, così, un’efficacia generale, pur nei limiti e con i necessari adattamenti imposti dalle particolarità di ogni singolo caso.
Ribadita tale premessa, con la sentenza n. 28321 del 10 ottobre 2023, la Cassazione ha inteso precisare, tuttavia, che il riferimento al trattamento retributivo, di cui al contratto collettivo nazionale di categoria, integra solo una presunzione di conformità alla Costituzione ed è suscettibile di accertamento contrario, non esistendo una riserva normativa o contrattuale a favore della contrattazione collettiva nella determinazione salariale!
Il lavoratore, affermano infatti gli Ermellini, ha il diritto, in sede di determinazione giudiziale del salario, non solo di invocare il contratto collettivo della propria categoria di provenienza, ma anche di “uscirne”, deducendo la non conformità costituzionale del corrispettivo ivi previsto, in quanto insufficiente (ai sensi dell’art. 36 Cost.) a garantire una retribuzione adeguata ad assicurare un tenore di vita dignitoso.
Si deve pertanto applicare, conclude la Corte, “il principio per cui, pur individuando in prima battuta i parametri della giusta retribuzione nel CCNL, non è escluso che questi siano sottoposti a controllo e nel caso disapplicati allorché l’esito del giudizio di conformità all’art. 36 Cost. si riveli negativo, secondo il motivato giudizio discrezionale del giudice, con conseguente nullità delle relative clausole”.
ERGO: vengono superati più di 50 anni di centralità della contrattazione collettiva e gli imprenditori si trovano ora con l’incertezza della “stabilità” di tutti i contratti stipulati con i propri dipendenti, dovendo valutare caso per caso, se quelle retribuzioni rispetteranno i dettami dell’art. 36 della Carta Costituzionale.