– di Mario Dusi.
Con la sentenza del n. 39615/2022, la Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di applicabilità del d.lgs. 231/2001, chiarendo nuovamente i concetti di “interesse”, “vantaggio” e “colpa di organizzazione”, giungendo ad una interessante e sempre più applicata interpretazione anche in tema di necessità di esistenza di un MOG.
Nel ribadire che “interesse” e “vantaggio” costituiscono due criteri diversi ed alternativi di imputazione obiettiva del reato all’ente, la Corte ha specificato che non è possibile usare tali termini in maniera generica, facendovi rientrare qualsiasi tipo di beneficio patrimoniale ottenuto dall’ente a seguito della commissione del reato.
L’interesse, infatti, è un criterio di tipo soggettivo, che rappresenta l’intento del reo di procurare un profitto all’ente tramite la commissione del reato: tale criterio deve essere determinato ex ante, indipendentemente dalla realizzazione o meno del beneficio cercato; perché sussista, è necessario che il soggetto abbia volontariamente violato le norme cautelari al fine di procurare un risparmio di spesa all’ente.
Diversamente, il vantaggio è un criterio oggettivo, legato alla effettiva realizzazione di un profitto in conseguenza della commissione del reato: il vantaggio, pertanto, deve essere determinato ex post; in questo caso, non è necessario che il reo sia consapevole di aver commesso una violazione delle norme sulla sicurezza al fine di risparmiare, ma solamente che tale violazione risulti integrata e che abbia procurato il beneficio. La mancanza della volontà di risparmiare rappresenta, quindi, la sostanziale differenza rispetto all’interesse e permette di sanzionare penalmente l’ente.
La Suprema Corte ha poi nuovamente definito la “colpa di organizzazione” come violazione delle regole cautelari, che assolve per le persone giuridiche la stessa funzione della colpa nei reati commessi dalle persone fisiche.
Da questa assimilazione discende che la mancata adozione e/o l’inefficace attuazione degli specifici modelli di organizzazione e di gestione, imposti dal legislatore, non rappresentano di per sé un elemento costitutivo dell’illecito dell’ente, limitandosi ad integrare una circostanza atta ex lege a dimostrare l’esistenza, appunto, della colpa di organizzazione (che, in ogni caso, deve essere provata dall’accusa, mentre l’ente ne può comunque dimostrare l’assenza).
Al fine di determinare la presenza o meno della colpa di organizzazione, conclude la Corte di Cassazione, è necessario che il giudice di merito verifichi sia il concreto assetto organizzativo adottato dall’ente al fine di prevenire il tipo reati di cui si tratta, sia se tale assetto (che sia sussistente o meno in un MOG) abbia effettivamente avuto incidenza causale rispetto al reato presupposto.