– di Niccolò Poli.
La Corte di Cassazione, con sentenza 3206 del 23.01.2019, torna in tema di consenso informato ed onere probatorio, confermando il costante orientamento degli Ermellini.
In merito alla prova del consenso informato di fatti si ribadisce “come il consenso del paziente all’atto medico non può mai essere presunto o tacito, ma deve essere fornito espressamente, dopo un’adeguata informazione, anch’essa esplicita” mentre “presuntiva, può essere la prova che un consenso informato sia stato dato effettivamente ed in modo esplicito, ed il relativo onere ricade sul medico”.
Pertanto l’acquisizione del consenso informato per mezzo della forma scritta, salvo determinati e specifici casi previsti ex lege, è mera semplificazione probatoria (ossia facilita la sua prova in caso di giudizio) e non obbligo di forma, attesa la libertà di quest’ultima.
Infine è stato poi ribadito come “in tema di responsabilità medica, ove l’atto terapeutico, necessario e correttamente eseguito “secundum legem artis”, non sia stato preceduto dalla preventiva informazione esplicita del paziente circa i suoi possibili effetti pregiudizievoli non imprevedibili, può essere riconosciuto il risarcimento del danno alla salute per la verificazione di tali conseguenze, solo ove sia allegato e provato, da parte del paziente, anche in via presuntiva, che, se correttamente informato, avrebbe rifiutato di sottoporsi a detto intervento ovvero avrebbe vissuto il periodo successivo ad esso con migliore e più serena predisposizione ad accettarne le eventuali conseguenze (e sofferenze) (cfr. Cass. 2369/2018 ed, ancor prima, Cass. 7248/2018)”.
Allo stato pertanto un corretto consenso informato debitamente sottoscritto salvaguarda da un lato il medico, esimendolo da una difficile prova per testi, e dall’altro tutela anche il paziente che può valutare correttamente le reali conseguenze dell’operazione cui dovrebbe sottoporsi.