– di Mario Dusi.
Con l’importante sentenza del 20 dicembre 2018 (numero 32992/18) la Suprema Corte di Cassazione ha riaffermato, con notevole fermezza, un concetto che negli ultimi anni si è andato sviluppando in tema di residenza fiscale di un contribuente.
Con l’apertura delle frontiere e la Unione Europea i cittadini italiani spesso svolgono la loro attività lavorativa ed imprenditoriale all’estero (nel caso di specie in Romania), pur tenendo una gran parte della famiglia in Italia.
Dovendo individuare il presupposto per la imposizione della tassazione nei confronti di un soggetto, iscritto all’anagrafe della popolazione residente in Italia, la Suprema Corte ha ritenuto di identificare la residenza fiscale (con tutto ciò che ne consegue a livello di successiva richiesta impositiva) del possibile contribuente – il quale svolgeva in Romania una attività imprenditoriale in parte con suo figlio (nonostante la restante parte della famiglia vivesse sempre e solo in Italia) – non in Italia ma (appunto) in Romania.
Gli ermellini hanno statuito che “Il centro degli interessi vitali del soggetto va individuato dando prevalenza al luogo in cui la gestione di detti interessi viene esercitata abitualmente in modo riconoscibile da terzi. Le relazioni affettive tra familiari non hanno rilevanza prioritaria ai fini probatori della residenza fiscale, ponendosi in rilievo solitamente con altri probanti criteri, che univocamente attestano il luogo con il quale il soggetto ha il più stretto collegamento.”.
Ai fini di una corretta pianificazione fiscale, attività che questo studio spesso svolge nella propria professionalità quotidiana, anche tale aspetto è da tenere in rilevante considerazione.