– di Mario Dusi. La Corte di Giustizia UE, con sentenza nella causa C-291/21, ha chiarito alcuni aspetti interpretativi del regolamento (UE) n. 655/2014 che istituisce una procedura per l’ordinanza europea di sequestro conservativo su conti bancari, al fine di facilitare il recupero transfrontaliero dei crediti in materia civile e commerciale.
Come noto, questa procedura consente a un creditore di ottenere un’ordinanza europea di sequestro conservativo di somme detenute dal debitore in conti bancari tenuti in Stati membri (sino a concorrenza dell’importo specificato nell’ordinanza), al fine di non compromettere la successiva esecuzione del credito con il trasferimento o il prelievo.
L’articolo 7 del regolamento distingue due ipotesi: quella in cui il creditore dispone già di un titolo esecutivo e pertanto non è tenuto a giustificare la fondatezza del credito vantato; e quella in cui il creditore non dispone di un siffatto titolo (ossia di una decisione giudiziaria che impone il pagamento), cosicché deve fornire la prova che la sua domanda relativa al credito vantato nei confronti del debitore sarà verosimilmente accolta nel merito.
Il credito, sancisce l’articolo 4, deve essere di uno specifico importo di denaro esigibile o di un importo di denaro da determinarsi derivante da un’operazione o da un evento già verificatosi, a condizione che sia azionabile dinanzi a un’autorità giudiziaria.
Il caso in esame riguardava la richiesta da parte di una società belga di effettuare un sequestro conservativo europeo sui conti bancari francesi di una società con sede in Irlanda, sulla base di una sentenza della Corte di Appello di Liegi che aveva condannato la debitrice al pagamento di una penalità in caso di violazione di un ordine inibitorio.
Il giudice del rinvio si chiedeva, pertanto, se la penalità, il cui presupposto e il cui importo di base sono fissati in una decisione giudiziaria, ma il cui esatto importo esigibile dipende dalle eventuali future violazioni del debitore, potesse essere considerato un credito ai sensi dell’articolo 4, e se la ridetta sentenza potesse valere come titolo esecutivo, ossia come una “decisione giudiziaria” ai sensi dell’articolo 7.
La Corte di giustizia si è espressa in senso negativo per entrambe le questioni.
Chiarisce, infatti, la Corte che la “decisione giudiziaria” di cui all’articolo 7 deve essere intesa come una decisione giudiziaria esecutiva che condanna il debitore al pagamento di un importo determinato o determinabile al momento dell’adozione di tale decisione.
Alla luce di quanto sopra, quindi, la ridetta sentenza così conclude: “Una decisione giudiziaria che condanna un debitore al pagamento di una penalità in caso di futura violazione di un ordine inibitorio e che non fissa quindi definitivamente l’importo di tale penalità non costituisce una decisione giudiziaria che impone a detto debitore di pagare il credito, ai sensi di tale disposizione.”
Questo regolamento non è (purtroppo) ancora molto usufruito nei casi di recupero del credito “europei”; sta quindi agli avvocati promuoverlo e sfruttarne le importanti utilità.