– di Mario Dusi.
Che una missiva per il recupero del credito debba poter avere un’efficacia ulteriore rispetto alla formale messa in mora del debitore, è risultato che qualunque creditore vorrebbe raggiungere.
In questi termini spesso si ritiene di poter inviare detta missiva o sul luogo di lavoro, o presso abitazioni (e non residenze ufficiali) del debitore. La domanda che si pone è come questo (giusto!) diritto di pretendere l’adempimento delle obbligazioni in proprio favore vada a impattare con la normativa sulla tutela della privacy.
Ebbene la Corte di Cassazione, con sentenza numero 18783 (depositata in Cancelleria in data 02 luglio 2021) ha ribadito una qual certa prevalenza delle norme relative alla tutela della privacy, rispetto alla pretesa creditoria.
Ed infatti – in una complicata vicenda legata a una pretesa creditoria fondata su una sentenza passata in giudicato a favore del Ministero degli Affari Esteri nei confronti di un dipendente della Pubblica Amministrazione, al quale era stato inviato un sollecito al pagamento attraverso canali di comunicazione istituzionali (coinvolgendo peraltro anche i nuovi uffici ove lavorava il medesimo) – la Suprema Corte ha statuito che può ritenersi illecito il comportamento consistente nel comunicare ingiustificatamente a soggetti terzi, rispetto al debitore (quali ad esempio familiari, coabitanti, colleghi di lavoro, vicini di casa) informazioni relative alla condizione di inadempimento nella quale versa l’interessato.
In buona sostanza inviare una missiva di sollecito chiusa e senza particolari indicazioni è lecito, mentre inoltrare una PEC integralmente scritta (e visibile) ad un indirizzo al quale non risponde solo ed esclusivamente il debitore è fatto che viola le norme sulla privacy stessa.
La Cassazione ha pertanto affermato il seguente principio:
“In tema di trattamento dei dati personali (di cui al D.Lgs. 196/2003) integra una violazione del diritto alla riservatezza e dell’articolo 11 del citato codice, il comportamento di un creditore il quale, nell’ambito dell’attività di recupero credito svolta direttamente, ovvero avvalendosi di un incaricato, comunichi a terzi (familiari, coabitanti, colleghi lavoro, vicini di casa) piuttosto che al debitore le informazioni, i dati e le notizie relative all’inadempimento nel quale questo versi, oppure utilizzi modalità che palesino a osservatori esterni il contenuto della comunicazione, senza rispettare il dovere di circoscrivere la comunicazione diretta al debitore, ai dati strettamente necessari e all’attività recuperatoria”.
Va dunque tenuto in debita considerazione questo precedente che sostanzialmente obbliga a non estendere le comunicazioni a mezzo PEC in modo esteso e visibile ai soggetti che non siano il debitore stesso.
In forza di quanto sopra il Credit Manager che dà incarico ai propri uffici di inoltrare un sollecito di pagamento dovrà verificare che la modalità di “confezionare” la pretesa e l’indirizzo del destinatario dello stesso non oltrepassino i limiti indicati dalla Corte; pena: pesanti sanzioni in forza delle norme applicabili in tema di privacy.