– di Fabrizio Angella.
Con la sentenza n. 150 depositata il 16 luglio 2020 la Corte costituzionale, in accoglimento delle questioni sollevate dai Tribunali di Bari e di Roma sul Jobs Act relativamente al carattere rigido e uniforme dell’indennità risarcitoria, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 4 del decreto legislativo n. 23 del 2015 (cosiddetto Jobs Act), là dove fissava l’ammontare dell’indennità in un importo pari a una mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio.
Le argomentazioni sono sostanzialmente analoghe e conseguenziali a quelle già poste alla base della sentenza n. 194 del 2018, che aveva dichiarato illegittima, per il caso di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, la fissazione di un rigido automatismo dell’indennizzo prevista dall’art. 3 del D.Lgs. n. 23/2015.
La sentenza ha esaminato il principio di commisurazione dell’indennità da corrispondere per i licenziamenti viziati sotto il profilo formale o procedurale, agganciata in via esclusiva all’anzianità di servizio, criterio che, secondo i giudici, «non fa che accentuare la marginalità dei vizi formali e procedurali e ne svaluta ancor più la funzione di garanzia di fondamentali valori di civiltà giuridica, orientati alla tutela della dignità della persona del lavoratore»; osserva la Consulta che, in tal modo, e soprattutto nei casi di anzianità modesta, «si riducono in modo apprezzabile sia la funzione compensativa sia l’efficacia deterrente della tutela indennitaria».
Dunque, secondo la Corte Costituzionale, la rigida predeterminazione dell’indennità, sulla base della sola anzianità di servizio, viola gli articoli 4, primo comma, e 35, primo comma, della Costituzione, che tutelano «la giusta procedura di licenziamento, diretta a salvaguardare pienamente la dignità della persona del lavoratore».
Il giudice, pur nel rispetto delle soglie oggi fissate dal legislatore, dovrà quindi determinare l’indennità tenendo conto innanzitutto dell’anzianità di servizio, «che rappresenta la base di partenza della valutazione”, ma, in via correttiva, congruamente motivata, potrà valutare e applicare anche altri criteri desumibili dal sistema, che concorrano a rendere la determinazione dell’indennità «aderente alle particolarità del caso concreto», quali, ad esempio, la gravità delle violazioni, il numero degli occupati, le dimensioni dell’impresa, il comportamento e le condizioni delle parti.
La Corte conclude invitando nuovamente il Legislatore (lo aveva già fatto con la sentenza n. 194/2018) a «ricomporre secondo linee coerenti una normativa di importanza essenziale, che vede concorrere discipline eterogenee, frutto dell’avvicendarsi di interventi frammentari».
Dusilaw Legal & Tax evidenzia l’importanza di questa sentenza, che espone le imprese al “rischio” di dover corrispondere rilevanti importi monetari a titolo indennitario, in caso di licenziamenti viziati sotto il profilo formale o procedurale.