– di Mario Dusi,
Prosegue l’innovazione interpretativa della Suprema Corte (III Sezione Penale), la quale, sull’onda di precedenti provvedimenti già colti in tema di ammissibilità di elementi probatori da WhatsApp ed SMS nei processi (vedasi sentenza numero 47283 del 21 novembre 2019), ha occasione di tornare ad esprimersi sull’utilizzo delle prove raccolte con l’uso di moderni device.
Infatti con la sentenza numero 8332 del 2 marzo 2020, gli Ermellini hanno dichiarato manifestamente infondata un’eccezione sollevata da un imputato che durante il processo contestava l’uso della fotografia dello schermo di un telefono cellulare, sul quale comparivano messaggi SMS, allo scopo di acquisirla quale elemento probatorio nel processo.
La Suprema Corte ha ritenuto che non venendo imposto dalla legge alcun adempimento specifico per l’uso della fotografia (per cogliere lo schermo di un altro cellulare) ha ritenuto che non sussiste alcuna differenza tra una normale fotografia e quella di qualsiasi altro oggetto e ne ha quindi ritenuto la legittimità quale prova nel processo penale.
Merita un plauso la Suprema Corte (ed i suoi Giudici) che finalmente hanno, soprattutto nel corso dell’ultimo anno, abbracciato l’uso dei nuovi mezzi di comunicazione quali possibili prove in un’aula di giustizia.