– di Laura Basso.
La drammaticità dell’emergenza creata dall’epidemia in corso non deve assolutamente scoraggiare ogni costruttiva riflessione volta al futuro.
Un aspetto positivo sul quale il mondo del lavoro è chiamato a ragionare è sicuramente rappresentato dallo smart working, ossia da quel “lavoro agile” che nel nostro paese trova regolamentazione nella legge n. 81 del 22 maggio 2017.
In cosa consiste lo smart working?
Dispone la menzionata norma che “lo smart working è una modalità di esecuzione del lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva”.
Trattasi di modalità di svolgimento del lavoro subordinato dagli indubbi vantaggi in termini economici, per il datore di lavoro. Si pensi, banalmente, alla riduzione dei costi relativi ai viaggi che coinvolgono giornalmente determinati lavoratori e/o gruppi di manager, ma anche ai costi degli spazi di lavoro (postazione, luce, riscaldamento); alle consistenti indennità di trasferta da erogare a lavoratori expatriates (che sovente si trasferiscono dall’estero con tutta la famiglia); all’efficienza conseguente alla maggiore produttività delle donne che possono meglio gestire i figli e la famiglia da casa, etc.
Quali sono le “formalità” richieste ad aziende e lavoratori per avviare lo smart working?
Gli adempimenti necessari per poter implementare detta tipologia di lavoro sono facilmente superabili applicando la normativa citata, che disciplina:
- i contenuti dell’accordo tra le parti – in termini di durata dello smart working, del relativo recesso e degli strumenti lavoro di cui il datore di lavoro deve dotare il lavoratore (art. 18).
- Il dovere del datore di lavoro di garantire la sicurezza e la salute del lavoratore, al quale consegnare, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta contente i rischi specifici e generali connessi alla particolare modalità di svolgimento dell’attività lavorativa.
- L’obbligo di cooperazione a cui è tenuto il lavoratore ex art. 20 del D.Lgs. 81/2008, ossia di collaborare col datore di lavoro per l’attuazione delle misure di prevenzione predisposte dall’imprenditore per fronteggiare i rischi connessi all’esercizio dell’attività lavorativa fuori dai locali d’azienda.
- Il rinvio, per assicurare la tutela infortunistica ai fini INAIL, al sistema delle comunicazioni obbligatorie ex L. 608/1996.
- Il diritto – dovere del lavoratore alla disconnessione (ex art. 19).
Quale “extra sforzo” richiede alle imprese l’implementazione dello smart working?
Principalmente, il superamento di alcuni “limiti e pregiudizi” in relazione ai quali l’emergenza COVIT 19 DEVE far riflettere le imprese. Infatti:
Adottare piani di smart working
consente di incrementare la produttività
far risparmiare costi aziendali
e aumentare il benessere di lavoratori e lavoratrici
Lavorare in assenza di vincoli di luogo e di orario non significa non lavorare e non poter “controllare” il lavoratore (pur nel rispetto delle sempre più arcigne regole della normativa sulla privacy), se gli obiettivi ed i relativi termini sono ben pre-definiti.
Tuttavia, l’assenza di vincoli di luogo e di orario per lo svolgimento dell’attività lavorativa, impone:
– un’organizzazione capace di muoversi ed operare per obiettivi, con tempi di reazione tempestivi e procedure per l’adozione delle decisioni snelle, realizzabili attraverso collaboratori competenti ed evoluti, oltre che adeguatamente responsabilizzati (poiché opportunamente informati e formati) nello scegliere luoghi di esecuzione dell’attività in linea con le politiche aziendali sia in materia di salute e sicurezza sul posto di lavoro, che di rispetto di tutte le norme sulla privacy.
- L’approntamento di strumenti tecnologici e di misure di sicurezza informatica, anche in un’ottica di protezione dati, a tutela dei dati aziendali trattati con i device aziendali e personali in uso ai lavoratori quali ad es. connessione da remoto sicura ai sistemi aziendali, presenza e aggiornamento dei software e di sistemi di intrusion detection, back-up, disaster recovery, stante l’utilizzo necessitato altresì di strumenti di collaborazione a distanza (condivisione file, conference call, ect.).
Esistono finanziamenti alle imprese per poter adottare piani smart working?
Mettere mano all’organizzazione aziendale significa certamente anche “mettere mano al portafoglio”, ma anche questo intervento va strutturato e ponderato ad hoc per ciascuna impresa.
A supporto, in ogni caso, le Regioni mettono a disposizione delle imprese dei fondi a cui attingere per poter praticamente implementare lo smart working.
Una tra tutti, ad esempio, la Lombardia, mediante il bando da 4,5 milioni già pubblicato per promuovere nelle imprese lombarde un modello organizzativo che “consente una maggiore flessibilità per quanto riguarda il luogo e i tempi di lavoro”.
L’iniziativa è finanziata con risorse del Por Fse 2014-2020 e l’agevolazione viene concessa a fondo perduto sotto forma di voucher aziendale.
Il finanziamento può essere concesso per:
- servizi di consulenza e formazione finalizzati all’adozione di un piano di smart working con relativo accordo aziendale o regolamento aziendale approvato e pubblicizzato nella bacheca e nella intranet aziendale;
- l’acquisto di strumenti tecnologici per l’attuazione del piano di smart working, in particolare per la sicurezza informatica.
Sussistono pertanto tutte le premesse e la regolamentazione per una evoluzione, necessaria e auspicabile, del mondo del lavoro italiano nel ventunesimo secolo.
Per maggiori approfondimenti scrivete a l.basso@dusilaw.eu