– di Mario Dusi.
Troppo spesso (e ancora più in questo periodo) viene usato in modo generico il termine forza maggiore relativamente ai rapporti contrattuali tra le parti, senza tenere conto del fatto che nel nostro sistema legislativo non esiste una definizione di questo concetto.
La giurisprudenza, invece, negli anni ha identificato (e qualificato) alcuni eventi imprevedibili e fuori dal controllo delle parti, inevitabili e insuperabili – quali ad es. calamità e catastrofi naturali – ma anche eventi riconducibili all’uomo come guerre, rivolte, atti di terrorismo, scioperi e misure governative, definendoli (con il classico latinismo) factum principis.
Si pone allora la naturale domanda: i provvedimenti emanati dalle autorità competenti in queste settimane possono essere qualificati come factum principis, stante che incidono in modo particolarmente grave sulla operatività e libertà di quasi tutti i settori produttivi e dei servizi? Tutti questi stravolgimenti del quotidiano ma soprattutto dell’ambito negoziale portano a poter qualificare ufficialmente (e cioè senza necessità di ulteriori prove della parte “debitrice della prestazione”) gli inadempimenti contrattuali come diretto effetto delle misure predisposte dal governo per il contenimento del virus, per andare esente da responsabilità?
In Cina esiste il CCPIT (China Council for the Promotion of International Trade), ossia l’istituto – operativo oramai da tempo – che ha recentemente aperto una procedura telematica che consente alle imprese cinesi, così come alle branch cinesi di gruppi stranieri, di richiedere un certificato di forza maggiore attestante che gli eventuali inadempimenti o ritardi nell’adempimento siano direttamente causati dalla diffusione della nota epidemia.
In Italia, tramite una Circolare del Mise (datata 25.03.2020) è stato creato un sistema di aiuto alle imprese italiane – stante le molte clausole presenti nei contratti internazionali, che comportano la necessità di produrre attestazioni di forza maggiore per poter invocare la medesima e far fronte ai possibili inadempimenti delle obbligazioni – che su loro specifica istanza presso le Camere di Commercio richiedono il rilascio di una dichiarazione in lingua inglese sullo stato di emergenza in Italia (conseguente alla Covid-19) e sulle restrizioni imposte dalla legge per il contenimento delle epidemie.
Tale norma è destinata a dar luogo a molte controversie, sia per la incerta fonte legislativa, sia per l’applicazione solo a contratti internazionali, che (infine) in forza del fatto che le CCIAA nel medesimo modulo online declinano la propria responsabilità sulle dichiarazioni svolte dalle aziende stesse!
Nella voluminosa produzione legislativa delle ultime settimane si trovano pochi e sparuti articoli che trattano (e solo parzialmente) il concetto della forza maggiore; vediamone tre:
- L’articolo 28 del D.L. 02.03.2020 numero 9, che dichiara la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta in relazione ai contratti di trasporto aereo, ferroviario, marittimo nelle acque interne o terrestri, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1463 del codice civile;
- L’articolo 79 del D.L. 17.03.2020 numero 18, il quale formalmente riconosce – ma solo per il settore del trasporto aereo – che l’epidemia è riconosciuta come calamità naturale;
- L’articolo 91 del D.L. 17.03.2020 numero 18, il quale letteralmente prevede che il rispetto delle misure di contenimento di cui al Decreto è sempre valutato ai fini dell’esclusione ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 del codice civile della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti.
ERGO non esiste ad oggi in Italia una chiara definizione di “causa di forza maggiore”, nemmeno da parte delle norme di urgenza recentemente promulgate, che non passi attraverso il vaglio delle ordinarie norme del codice civile, applicabili alle varie fattispecie: quali sono queste norme e che modalità di applicazione hanno?
Innanzitutto l’articolo 1256 del codice civile (sulle obbligazioni in generale) in tema di impossibilità definitiva e/o temporanea, il quale prevede l’estinzione dell’obbligazione per una causa non imputabile al debitore; se questa causa è solo temporanea il debitore (finché perdura) non è responsabile del ritardo nell’adempimento.
La modalità di interpretazione della norma prevede che sia il debitore a fornire la prova della causa non imputabile al medesimo e della durata della stessa; autorevole dottrina ad oggi ritiene che le norme di emergenza, recentemente emanate, possano facilmente costituire la prova del factum principis, ossia della causa di inadempimento menzionata da questo articolo (in assenza ad oggi di conferma giurisprudenziale).
Ancora più specifici in tema di contratti sono gli articoli 1463 (impossibilità sopravvenuta totale) 1464 (impossibilità sopravvenuta parziale) e 1466 (impossibilità sopravvenuta nel contratto plurilaterale) del codice civile, i quali fanno espresso riferimento al precedente articolo 1256 c.c., riproponendo la medesima tematica di cui sopra.
Infine il caso specifico dell’art. 1467 c.c., (che disciplina i contatti a prestazioni corrispettive, anche ad esecuzione continuata o periodica), il quale prevede che qualora la prestazione di una delle parti diventi eccessivamente onerosa (oltre la normale alea contrattuale), per avvenimenti straordinari e imprevedibili, questa possa chiedere la risoluzione del contratto; anche qui l’onere della prova è in capo a chi dichiara di vantare tale straordinaria onerosità, che pertanto non opera automaticamente!
Come si può dunque notare la recente legislazione si basa solo in minima parte sugli articoli del codice civile. Più specificatamente l’articolo 91 del decreto 18/2020 si limita a escludere che nella attuale emergenza il debitore non sia maggiormente responsabile dell’inadempimento, ossia non debba risarcire l’ulteriore danno, ai sensi degli articoli 1218 e 1223 del codice civile; nulla però regolamenta tale norma in tema di inadempimento della prestazione principale!
Ad oggi, pertanto, gli effetti dell’intervento del Covid-19, a livello giuridico, comportano a favore del debitore della prestazione esclusivamente la possibilità di fornire la prova della impossibilità, al fine di sospendere l’esecuzione del contratto, evitare la immediata risoluzione del contratto promuovibile dall’altra parte, se del caso risolvere il contratto senza incorrere nel rischio del ulteriore risarcimento del danno, ma certamente dovendo restituire (o pagare) la obbligazione già adempiuta dalla controparte.
E’ importante sottolineare gli attuali (questi sì) esempi relativi alla assoluta inesistenza di un automatismo di risoluzione a favore della parte debitrice del contratto, nei primi casi (già recentemente trattati) che attengono ai contratti di locazione (siano essi di uffici o di centri commerciali), in cui le proprietà non hanno (correttamente, dal punto di vista di diritto) ritenuto di accogliere tout court le richieste dei conduttori in forza della situazione emergenziale. O ancora i casi di aziende che hanno fornito merce, nel periodo antecedente alle norme sull’emergenza: è pacifico che queste possano vantare il diritto al pagamento delle fatture emesse, senza che il debitore opponga una situazione (subentrata) di impossibilità sopravvenuta.
Riassumendo si consiglia, in via preliminare, di esaminare con estrema attenzione, i testi contrattuali per:
- identificare se esistono pattuizioni specifiche che regolamentino il caso di forza maggiore (in molti contratti, soprattutto assicurativi, tali clausole sono previste anche molto ampiamente);
- comprendere quali norme del codice civile possano trovare applicazione, identificando l’esatta parte delle prestazioni da doversi adempiere (o meno);
avviare con rapidità trattative con la controparte, comunicando anche formalmente lo stato di impossibilità per offrire una equa modificazione delle pattuizioni contrattuali, che possano contemperare l’interesse di tutti.
Per maggiori approfondimenti scrivete a m.dusi@dusilaw.eu