– di Mario Dusi.
Con sentenza numero 222 del gennaio 2020 la III Sezione Penale della Corte di Cassazione, in una fattispecie riguardante cooperative di lavoro che lucravano in modo illegittimo sull’IVA (mancato pagamento dell’importo, rimborsi illeciti, fondi a sostegno delle cooperative, fittizietà delle prestazioni fatturate e non pagate e così via), in una condizione di fatto palesemente truffaldina – non foss’altro per la parentela e la “convivenza” nella medesima sede per le tre diverse cooperative – ha però attenzionato anche il fenomeno della mancata azione da parte del legale rappresentante della società per il recupero di crediti su fatture emesse.
Evidenziando come tutte e tre le cooperative, nonostante il mancato pagamento di importanti importi di fatture, abbiano continuato ad emetterne (tra di loro), senza porre in essere azioni dirette dall’escussione dei crediti, la Suprema Corte, appunto, stigmatizza che i tre enti avrebbero dovuto agire per l’escussione dei crediti, al fine di onorare i propri debiti fiscali.
Da questo obiter dictum si evidenzia come qualsiasi imprenditore non possa permettersi di non agire (o dare incarico in tal senso ad un legale) per recuperare i crediti della società da lui gestita, poichè tale mancanza comporta il venir meno della sicurezza della Pubblica Amministrazione, in ordine al pagamento dei debiti fiscali, oltre a venir valutato come palese elemento di fittizio status dell’azienda sul mercato.
Tale motivazione troverà certamente ulteriori riscontri anche nelle successive decisioni della Suprema Corte, obbligando gli imprenditori ad occuparsi fattivamente anche di tale tematica che – lo si ricorda – impatta anche con i presupposti di verifica di cui al nuovo Codice della Crisi di Impresa (D.Lgs. 12.01.2019 n. 14).