– di Laura Basso.
Ancorché incompleta sotto molteplici aspetti giuridici, la legge Cirinnà – dedicata alla regolamentazione delle unioni civili tra le persone dello stesso sesso ed alla disciplina delle convivenze – rappresenta un significativo avvicinamento istituzionale alla legislazione degli altri paesi europei sul tema.
Tra gli istituti e le fattispecie disciplinati dalla L. 76/2016, il co. 36 dell’art. 1 definisce «conviventi di fatto» “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile”.
Dal tenore letterale della norma emerge che la tutela di cui alla citata Legge è apprestata ai conviventi di fatto se “stabilmente uniti” come risultante dalle registrazioni anagrafiche di cui all’art. 4 del D.P.R. 223/1989 (dichiarazione della creazione della convivenza e relative modifiche), a prescindere dall’effettiva esistenza di legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale e/o dall’eventuale dichiarazione congiunta e successiva registrazione prevista per le unioni civili.
I ridetti conviventi di fatto hanno ora il diritto di concludere un contratto di convivenza (co. 50 cit. Legge), espressione del consenso negoziale delle parti inteso come “oggettiva manifestazione di fatti di sentimento”(Cfr. R. Amagliani, I Contratti 3/2018), ai fini della regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra i medesimi, oltre che di alcuni limitati rapporti personali, tra i quali la designazione reciproca ad amministratore di sostegno.
Il contratto di convivenza deve essere redatto in forma scritta, ossia mediante atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata anche da un avvocato, che ne attesta formalmente la conformità alle norme imperative ed all’ordine pubblico.
Notaio e/o avvocato procedono, entro i successivi dieci giorni, a trasmetterne copia al comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe ai sensi degli articoli 5 e 7 del regolamento di cui D.P.R. 223/1989, adempimento che rende il contratto di convivenza opponibile ai terzi, oltre che idoneo a produrre gli effetti giuridici previsti dalla citata Legge, i quali non si realizzano in caso di omessa registrazione.
Il contratto di convivenza deve contenere l’indicazione dell’indirizzo di ciascuna parte al quale sono effettuate le comunicazioni inerenti al contratto medesimo e “può” contenere:
- “le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo” (art. 53). Ciò significa che i partners potranno definire le rispettive capacità contributive al menage familiare secondo un concetto di proporzionalità di sforzo rispetto alle rispettive risorse (in ossequio al principio costituzionale di solidarietà) che viene “determinato” dalle parti.
- I criteri di attribuzione della proprietà dei beni acquistati nel corso della convivenza (richiamandosi altresì agli istituti della comunione o separazione dei beni).
- Le modalità di utilizzo della casa adibita a residenza comune (sia essa di proprietà di uno solo dei conviventi o di entrambi i conviventi ovvero sia in affitto).
- la facoltà di assistenza reciproca, in tutti i casi di malattia fisica o psichica.
- la regolamentazione dei rapporti patrimoniali inerenti il mantenimento, l’istruzione e l’educazione dei figli, posto che incombe su entrambi i genitori l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole.
Il contratto di convivenza non può essere sottoposto a termine né a condizione.
Può essere risolto in qualsiasi momento per accordo tra le parti, in caso di morte e di matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed altra persona.
Sicché da un lato, i conviventi potranno inserire in contratto specifiche pattuizioni volte a regolamentare le conseguenze della cessazione della convivenza ed il diritto agli alimenti; dall’altro, in caso di recesso da parte di uno dei conviventi, l’altro potrà richiedere la verifica giudiziale dell’abusività del recesso, alla luce dei principi dell’affidamento, della buona fede e dell’abuso del diritto.
Inoltre, le parti possono riservarsi, con apposite clausole inserite nel contratto di convivenza, la facoltà di recesso. L’esercizio di detta facoltà potrà essere totalmente libero ovvero essere subordinato al verificarsi di determinati eventi o condizioni; essere gratuito o subordinato al pagamento, all’altra parte, di un corrispettivo (multa penitenziale).
In caso di recesso unilaterale – che deve essere notificato dal professionista che lo riceve, in copia, all’altro contraente – se la casa familiare è nella disponibilità esclusiva del recedente, la dichiarazione di recesso, a pena di nullità, deve contenere il termine, non inferiore a novanta giorni, concesso al convivente per lasciare l’abitazione.
Nel caso di matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed altra persona, il contraente che ha contratto matrimonio o unione civile deve notificare all’altro contraente, nonché al professionista che ha ricevuto il contratto, l’estratto di matrimonio o di unione civile.
Se si verifica la morte di uno dei conviventi, il superstite o gli eredi del deceduto devono notificare al professionista che ha ricevuto il contratto l’estratto dell’atto di morte per l’annotazione, a margine del contratto di convivenza, dell’avvenuta risoluzione del contratto e a notificarlo all’anagrafe del comune di residenza.
Alla cessazione della convivenza, se il convivente versa in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento, ha diritto a ricevere, dall’altro, gli alimenti per un periodo proporzionale alla durata della convivenza, nella misura determinata dall’art. 438, comma II, c.c.
In tema di legge applicabile, ai contratti di convivenza si applica la legge nazionale comune dei contraenti: se detta legge è differente, la legge del luogo in cui la convivenza è prevalentemente localizzata, fatte salve le norme nazionali, europee ed internazionali che regolano il caso di cittadinanza plurima.
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