– di Fabrizio Angella.
La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza 11 luglio 2018, n. 18262, ha stabilito che, nell’ambito della ri-qualificazione giuridica di un rapporto di lavoro (in applicazione del principio dell’indisponibilità del tipo contrattuale, e quindi quale sua logica conseguenza), sia allorché le parti (pur volendo attuare un rapporto di lavoro subordinato),
1) abbiano simulatamente dichiarato di volere un diverso rapporto lavorativo al fine di eludere la disciplina legale inderogabile in materia;
2) sia nel caso in cui l’espressione verbale abbia “tradito” la vera intenzione delle parti;
3) sia, infine, nell’ipotesi in cui, dopo avere voluto realmente il contratto di lavoro autonomo (agenzia), le parti stesse, nel corso dello svolgimento del rapporto, attraverso fatti concludenti, mostrino di aver mutato intenzione (e di passare a un effettivo assetto di interessi corrispondente a quello della subordinazione),
il giudice del merito deve attribuire valore prevalente al comportamento tenuto dalle parti nell’ attuazione del rapporto stesso.
Nel caso di specie, la Corte ha confermato pertanto la sentenza impugnata, in cui il giudice aveva riconosciuto la sussistenza di un rapporto di agenzia, tenuto conto che il lavoratore era stato preposto a tutti gli affari di una certa specie per un certo tempo, ed in coordinazione con l’attività del preponente.
Tali elementi non qualificavano quindi una deviazione dallo schema contrattuale e un divario dalle regole e dai principi di un rapporto di agenzia.
In conclusione, se il rapporto tra le parti è regolato dal contratto di agenzia, è necessaria una prova molto rigorosa circa l’esistenza di un diverso rapporto di lavoro subordinato; nella fattispecie concreta risultava infatti che il lavoratore era pagato a provvigioni, non era previsto un compenso fisso, né un orario stabile, né un collegamento tecnico, organizzativo e produttivo tra la prestazione svolta e le esigenze aziendali.
Il lavoratore risultava quindi essere un mero agente della società, e non invece un suo dipendente, in quanto pagato a provvigioni, e con ordini acquisiti solo con l’approvazione della casa.
Spesso queste delicate ed articolate distinzioni non sono facilmente comprensibili alla clientela straniera, la quale si deve affidare alla consulenza preventiva (che questo Studio predilige) al fine di non incorrere in costose controversie.