– di Niccolò Poli.
La Suprema Corte con Sentenza n. 10280-2018 torna sul tema della giusta causa di licenziamento concretizzatosi in conseguenza di una condotta diffamatoria posta in essere dalla lavoratrice, con particolare attenzione allo strumento utilizzato da quest’ultima: Facebook.
Nel caso all’esame della Suprema Corte una lavoratrice aveva pubblicato, sulla propria bacheca personale del social network, la seguente affermazione “mi sono rotta i coglioni di questo posto di merda e della sua proprietà”.
Orbene, hanno affermato gli Ermellini che “la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca Facebook integra un’ipotesi di diffamazione, per la potenziale capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, posto che il rapporto interpersonale, proprio per il mezzo utilizzato, assume un profilo allargato ad un gruppo indeterminato di aderenti al fine di una costante socializzazione”.
Ha ritenuto pertanto la Suprema Corte che, proprio in virtù dello strumento utilizzato per il commento diffamatorio (vi è più ove siano di facile individuazione i destinatari del medesimo), la condotta posta in essere dalla lavoratrice sia stata di tale gravità da doversi valutare correttamente in termini di giusta causa di recesso, in quanto idonea a recidere il vincolo fiduciario nel rapporto lavorativo.