– di Laura Basso.
Con sentenza del 14 dicembre 2017, la prima sezione della Corte europea dei diritti dell’Uomo (CEDU) ha condannato l’Italia per non aver garantito, alle coppie dello stesso sesso sposate all’estero, protezione o riconoscimento legale prima del 5 giugno 2016, data di entrata in vigore della Legge n. 76/2016 sulle unioni civili, anche nota come legge Cirinnà.
Sebbene la sentenza europea riconosca che gli Stati sono liberi di restringere il matrimonio alle coppie eterosessuali, la pronuncia accerta la violazione, da parte dell’Italia, dell’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo – ossia del diritto alla vita privata e familiare – integrato dal rifiuto di registrare (in qualsiasi forma) i matrimoni tra persone appartenenti allo stesso sesso e contratti all’estero, sanzionando pertanto l’impossibilità di offrire riconoscimento legale e protezione giuridica alle ridette unioni omosessuali, anteriormente al 2016.
La Corte di Strasburgo motiva la decisione affermando che non si tratta di una sanzione per non aver consentito le unioni civili, ma per il mancato raggiungimento di un giusto equilibrio tra gli interessi di competenza dello Stato e la tutela del diritto delle coppie appartenenti al medesimo sesso.
La pronuncia, che consegue a ricorsi presentati nel 2012 da 6 coppie omosessuali (undici cittadini italiani e uno canadese) sposate in Canada, California e Paesi Bassi per non aver potuto registrare la propria unione in Italia, è stata approvata con cinque voti favorevoli e due contrari.
Ad opporsi, il giudice polacco Krzysztof Wojtyczek e quello ceco Ales Pejchal: ancorché in Polonia non vi sia alcun riconoscimento delle unioni civili ed in Repubblica Ceca abbiano diritti limitati, i dissenzienti non hanno ravvisato la previsione di obblighi positivi per gli Stati, derivanti dalla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, contrariamente a quanto decretato mediante la sentenza.
L’Italia dovrà risarcire con Euro 5.000 ogni singolo ricorrente a titolo di danni morali, oltre che versare una cifra forfettaria totale pari ad Euro 10.000 – da dividersi tra tutti – per il rimborso delle spese procedurali. Una delle coppie, che ha compiuto invano l’iter processuale in Italia, riceverà invece un rimborso spese di Euro 9.000.