– di Laura Basso
La pronuncia della Corte di Cassazione n. 9983 (pubblicata il 20 aprile 2017), cassando con rinvio la sentenza n. 2695/2011 emessa dalla Corte d’Appello di Milano, rappresenta un’importante “svolta” rispetto alla consolidata tendenza della giurisprudenza sia di merito che di legittimità, in tema di responsabilità della banca erogratice di finanziamenti, in concorso con quella degli amministratore di una società dichiarata fallita, laddove ne ricorrano i presupposti.
Detta pronuncia parte dall’assunto che costituisce reato (ex art. 218 legge fall.), il fatto degli amministratori, dei direttori generali, dei liquidatori e in genere degli imprenditori esercenti un’attività commerciale che, anche al di fuori dei casi di bancarotta, “ricorrono o continuano a ricorrere al credito (..) dissimulando il dissesto o lo stato di insolvenza”. Ovviamente, la medesima condotta integra, altresì, un illecito civile.
Attesa la previsione dell’art. 218 L.F. la Suprema Corte innovativamente afferma come sia errato sostenere, come tradizionalmente avvenuto, che l’attività di erogazione del credito non sia mai, di per se, abusiva. Esattamente all’inverso, deve considerarsi indubbio che se il ricorso abusivo al credito va oltre i confini dell’accorta gestione imprenditoriale quanto all’amministratore della società finanziata, la stessa erogazione del credito, ove sia stata accertata la perdita del capitale sociale di quella società, integra un concorrente illecito della banca, la quale deve seguire i principi di sana e prudente gestione, valutando (art. 5 T.U.B.) il merito di credito in base ad informazioni adeguate.
In una tale e comprovata situazione, la Suprema Corte, pertanto, riconosce la legittimazione attiva del curatore del fallimento, quale successore nei rapporti del fallito, ai sensi dell’art. 146 Legge Fall. e 2393 Cod. Civ., a far valere la responsabilità del finanziatore verso il soggetto finanziato, per il pregiudizio diretto ed immediato causato, al patrimonio di questo, dall’attività di finanziamento: dinanzi ad una avventata richiesta di credito da parte degli amministratori della società che ha perduto interamente il capitale ed altrettanto avventata (o comunque imprudente) concessione di credito, da parte della banca, il comportamento illecito è concorrente ed è dotato di una instrinseca efficacia causale. Il fatto dannoso si identifica nel ritardo nell’emersione del dissesto e nel conseguente suo aggravamento prima dell’apertura della procedura concorsuale.
Continua la Suprema Corte affermando che questo fatto integra un danno per la società in se, oltre che per i creditori anteriori e determina – siccome consequenziale al concorso di entrambi i comportamenti – “l’insorgere dell’obbligazione risarcitoria in via solidale ex art. 2055 Cod. Civ., giacchè gli elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità sono correlabili alla mala gestio degli amministratori di cui le banche si siano rese compartecipi per il tramite dell’erogazione di quei medesimi finanziamenti, nonostante una condizione economica tale, da non giustificarli”.
Da quanto affermato deriva la possibilità di agire anche solo nei confronti del soggetto che eroga il credito, senza necessariamente chiamare in giudizio anche gli amministratori ritenuti colpevoli di mala gestio.