di Laura Basso.
Il nuovo istituto del pegno non possessorio, introdotto con la Legge 30 giugno 2016, n. 119 di conversione del D.L. 3 maggio 2016, n. 59, recante “disposizioni urgenti in materia di procedure esecutive e concorsuali, nonché a favore degli investitori in banche in liquidazione”, sembra rappresentare un passo in avanti in materia di garanzia del credito, finalizzata alla promozione ed al sostegno dell’attività di impresa. (per approfondimento, vedi link con precedente blog “il pegno non possessorio: nuove opportunità di accesso al credito?”)
Significativo l’impatto della novella in questione, in tema di fallimento: il creditore munito di pegno non possessorio potrà procedere all’escussione della garanzia solo dopo che il credito gravato da pegno “speciale” sia stato ammesso al passivo con prelazione. A differenza di quanto previsto dall’art. 53 LF, che richiede l’autorizzazione del Giudice Delegato alla vendita del bene oggetto di pegno, con il nuovo istituto il creditore potrà procedere in detta direzione, in via autonoma, semplicemente dopo l’accertamento del relativo credito in fase di esame dello stato passivo.
Il curatore inoltre, può esercitare comunque le azioni revocatorie ex artt. 66 e 67 LF, poiché il pegno non possessorio viene, a tal fine, equiparato al pegno generale.
Alla luce delle novità derivanti dall’introduzione del pegno non possessorio, soprattutto in materia di fallimento, emergono alcune criticità per nulla marginali. Ci si domanda:
Qual è l’orientamento del legislatore, che pare favorire soluzioni liquidatorie stragiudiziali “individuali”, trascurando il potenziale maggior valore, conseguente alla liquidazione unitaria dei beni aziendali, a vantaggio (par condicio?) del maggior numero di creditori?
Inoltre, con l’eccezione stabilita dalla novella in favore dei soggetti che abbiano finanziato l’acquisto del bene destinato all’esercizio dell’impresa, garantito da riserva di proprietà o da pegno, anche non possessorio successivo, è intenzione del legislatore privilegiare gli istituti di credito a danno, tra gli altri, dei lavoratori dipendenti, ancorché naturalmente privilegiati?
Qual è il contributo che il legislatore intende fornire al curatore, in tema di esercizio delle azioni revocatorie, ammettendo un pegno non possessorio su beni futuri e determinabili? E’ forse il curatore destinato a diventare mero esecutore e custode di un inventario costituito da beni oggetto di pegno, da consegnare ai creditori che procederanno alla relativa liquidazione mediante vendite private, vigile del semplice rispetto della procedura competitiva?
Ed in termini di impulso allo sviluppo delle transazioni commerciali? Cosa sarà della massa dei creditori chirografari in un futuro di privilegi?
Ancorché la nuova legge si ponga assolutamente in linea con la lodevole logica privatistica ispiratrice della riforma del diritto fallimentare, avviata negli anni 2005 e 2006, si attendono le prime pronunce della Cassazione, per chiarire importanti applicazioni in detto ambito, oltre alla conseguente indicazione, attesa dagli operatori del mercato (e non), della più soddisfacente nuova pratica di impostazione degli scambi commerciali.
In attesa delle prime interpretazioni giurisprudenziali, naturalmente, varrà la pena tutelare i propri crediti con il pegno non possessorio, anche per limitare i relativi rischi potenzialmente derivanti da un fallimento.